La questione riguarda la qualificazione delle acque di falda emunte durante la fase della messa in sicurezza d’emergenza e della bonifica dei siti contaminati: più precisamente, se tali acque possano (o meglio, debbano) essere considerate come rifiuti liquidi, e rispettare quindi la normativa dettata per i relativi impianti di smaltimento e per i limiti di emissione. La presenza di uno iato temporale e materiale tra la fase di emungimento e quella di trattamento, consistente nello stoccaggio delle acque in attesa della destinazione finale, depone per la qualificabilità delle acque in termini di “rifiuto liquido”, laddove la nozione di “scarico” implica la continuità tra la generazione del refluo e l’immissione nel corpo recettore.Vero è che l’art. 243 del TUA prevede al primo comma che “le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto”; la norma però in esame non attiene alla disciplina degli scarichi, il decreto legislativo n. 152 contiene, nella parte terza, norme per la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche; in tale parte trova collocazione la disciplina degli scarichi. Nella parte quarta, dedicata alla gestione dei rifiuti e alla bonifica dei siti contaminati, trova invece collocazione l’art. 243 appena citato, il quale dunque attiene ad un diverso ambito, inserito in una parte dedicata, come si è detto, ai rifiuti e alla bonifica di siti inquinati. Scarichi industriali e rifiuti sono quindi, nel sistema legislativo, concetti diversi, disciplinati da norme diverse e specifiche. Se, quindi, le acque reflue emunte nelle operazioni di bonifica devono, alla luce di una interpretazione sistematica del quadro normativo nazionale e comunitario (l’art. 1 lett. a della direttiva n. 2006/12/CE non consente dubbi al proposito, come ha evidenziato il Tar), essere considerate rifiuti (restando affidato al solo regime degli scarichi lo sversamento derivante dagli ordinari cicli produttivi: e tali non sono, certamente, le acque di falda emunte nell’ambito dell’attività di disinquinamento, che non derivano certamente ed in via diretta dagli ordinari cicli produttivi). Consiglio di Stato, sentenza del 6 dicembre 2013
Immagino di poter non essere d’accordo con il Consiglio di Stato, quindi con il TAR del grado di giudizio immediatamente precedente, e spiego anche il perché.
Innanzi tutto, perchè qualunque cosa tanto è rifiuto quando il produttore/detentore decide lo sia, e su questo ritengo non vi possano essere perplessità di sorta.
Poi, perchè magari si dà il caso che la Dir CE 12/2006 sia stata ampiamente abrogata e parzialmente modificata dalla Dir CE 98/2008, e che giustappunto tra i vari motivi di infrazione ricevuti ci stava proprio il mancato recepimento di quella direttiva, e la sanzione ce la siamo beccata proprio per quello: non l’abbiamo MAI recepita, e con il D.lgs 205/2010 in border line ci siamo scansati per una settimana quella per la 98/2008.
Quindi se mi fornisci gli estremi di quelle sentenze vorrei proprio vedere come le hanno argomentate… Mi pare inverosimile che un Tribunale Amministrativo Regionale italiano si attacchi ad una Dir CE mai recepita.
Detto questo, le acque “emunte” a fini di bonifica della falda sono a tutti gli effetti acque prodotte da un processo industriale, atteso che la bonifica “artigianale” o “domestica” di un sito contaminato con falda contaminata ancora se la devono inventare. Quindi, a mio avviso vanno trattate per ciò che sono: reflui. E pure reflui industriali, nè domestici – palesemente – nemmeno “urbani”. E questo non perchè me lo stia inventando io adesso, ma perchè l’art. 243 così come cogente dopo la L. 98/2013 ai commi 3 e 4 esplicitamente dispone:
“3. Ove non si proceda ai sensi dei commi 1 e 2, l’immissione di acque emunte in corpi idrici superficiali o in fognatura deve avvenire previo trattamento depurativo da effettuare presso un apposito impianto di trattamento delle acque di falda o presso gli impianti di trattamento delle acque reflue industriali esistenti e in esercizio in loco, che risultino tecnicamente idonei.
4. Le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di tali acque con il punto di immissione delle stesse, previo trattamento di depurazione, in corpo ricettore, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico e come tali soggette al regime di cui alla parte terza.”.
In conclusione, il quadro legislativo al momento prevede un’applicazione “utile” delle acque emunte da falda da bonificare, qualora nel sito ve ne sia la realistica possibilità e praticabilità (quindi, direi nei siti non dismessi e con attività produttive in essere), e in caso contrario una depurazione “in situ” sufficiente a consentirne lo scarico in corpo recettore ad hoc. E se è vero, come purtroppo è vero, che il confine tra rifiuti liquidi e acque reflue industriali di scarico è assai labile e variamente cavalcato a seconda degli interessi in gioco, nella fattispecie delle acque di falda emunte a fini di bonifica (ed io direi anche quelle di spurgo piezometri emunte a fini di caratterizzazione…) mi pare assolutamenrte evidente la NON APPLICABILITA’ della definizione di rifiuto, che comunque NON è più proponibile ex lege proprio dall’emanazione del d.lgs 205/2010 e contestuale abrogazione delle “categorie di rifiuti”, quelle con la lettera “Q”.
Trovo molto interessanti le tue considerazioni. Con piacere ti indico gli estremi della sentenza: si tratta della n. 5857/2013. Aggiungo che, sul tema, nella giurisprudenza amministrativa non ci sono posizioni univoche.