L’imputato era stato tratto a giudizio per il reato di attività di gestione non autorizzata di rifiuti da demolizione e costruzione (art. 256, co. 1, d. lgs. n. 152/2006). Di fatto aveva reimpiegato tali materiali nel cantiere, ma riteneva che quanto posto in essere fosse legale, in quanto i predetti materiali dovevano essere qualificati come «sottoprodotti» ai sensi dell’art. 184 bis del d.lgs. n. 152/2006. Come è noto, per “sottoprodotto” si intende un residuo di un processo di produzione, di cui è certo il riutilizzo nello stesso o in altro processo di produzione o utilizzazione, “senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale” (oltre al rispetto di altri requisiti di qualità ambientale).
Ciò che è “sottoprodotto” non è mai diventato un “rifiuto”, dunque, non rientra nella parte IV del d. lgs. n. 152/2006 e, pertanto, nelle sanzioni penali di cui all’art. 256 cit.
In ogni caso, il procedimento penale in questione si è concluso con la condanna dell’imputato e la conferma della sentenza da parte della Corte di Cassazione. I materiali da demolizione, infatti, non possono in alcun caso essere ricondotti alla categoria dei sottoprodotti, perché essi non scaturiscono da un processo di produzione, bensì dalla demolizione dell’edificio, ovvero da un’attività antitetica alla produzione (Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 25316 del 07.06.2019).