Oggetto dell’imputazione è l’attività di trattamento di rifiuti consistente nel lavaggio delle autocisterne utilizzate per il trasporto di liquami da fognature, con filtrazione degli scarichi del lavaggio attraverso appositi teli, per separare la parte solida da quelle liquida, e raccolta degli stessi in vasche interrate a ciclo chiuso. L’operazione di separazione fisica di rifiuti realizzata attraverso l’impianto di deposito filtraggio della società dell’imputata è qualificabile in termini di “trattamento”, perché tale è, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. s), ogni operazione di recupero o smaltimento, ivi compresa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento. E la scomposizione del rifiuto nelle frazioni liquida e solida mediante filtraggio rappresenta indubbiamente una preparazione del medesimo ai fini dello smaltimento. Quanto al disposto del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 230, comma 5, – secondo cui i rifiuti derivanti dalla pulizia delle reti fognarie si considerano prodotti dal soggetto che svolge l’attività di pulizia, con la conseguenza che gli stessi potranno essere anche raggruppati temporaneamente presso la sede o l’unità locale del soggetto che svolge l’attività di pulizia manutentiva – deve rilevarsi che la condotta realizzata nel caso di specie si pone al di fuori di tale previsione. L’operazione svolta dalla società dell’imputata non può essere, infatti, qualificata in termini di mero raggruppamento e, dunque, di collocazione in un medesimo contesto spaziale dei rifiuti, perché essa consiste – come visto – nella radicale modificazione della composizione del rifiuto attraverso un’attività di filtraggio e non nella mera raccolta differenziata di rifiuti già di per sé diversi. Cass. pen., sentenza n. 42958 del 26.10.2015