Secondo il Tribunale si configurava attività di gestione non autorizzata (art. 256, co. 1, lett. a, T.U.A) nel caso di un impianto di rifiuti in plastica ove un’area priva di pavimentazione ovvero di impianto di raccolta delle acque meteoriche e di eventuali percolati veniva utilizzata per lo stoccaggio in assenza di autorizzazione.
La difesa si affidava alla circostanza che i rifiuti in entrata stazionassero solo per poche ore nel luogo dove erano stati rinvenuti all’atto del controllo, per poi essere lavorati e stoccati in aree idonee e autorizzate.
Così stando le cose, la Cassazione rileva come il ricorso stesso confermi che la condotta contestata consiste in una messa in riserva o, comunque, in un deposito preliminare, che rientra nella nozione di “stoccaggio”, normativamente soggetta al preventivo conseguimento di un titolo abilitativo, in mancanza del quale si è in presenza di una gestione illecita.
L’attività di gestione in genere, infatti, è un’attività che determina rischi potenziali e che, per tali ragioni, la legge assoggetta a controllo da parte della pubblica amministrazione anche attraverso il rilascio dei necessari titoli abilitativi e l’individuazione dei presupposti per il loro rilascio.
Questo vale, in particolare, per la idoneità dei luoghi ove vengono effettuate le attività di gestione che non è un requisito di secondaria importanza, con la conseguenza che non può ritenersi irrilevante il fatto che un’attività di stoccaggio venga effettuata utilizzando, seppure per un tempo limitato, un luogo diverso da quello stabilito e privo di pavimentazione ed altri accorgimenti idonei a prevenire situazioni di pericolo per l’ambiente.
La temporanea permanenza del rifiuto, inoltre, non assume rilievo qualora – come, nella fattispecie, correttamente rilevato nella sentenza impugnata – il luogo di stoccaggio sia continuativamente utilizzato allocandovi altri rifiuti una volta rimossi quelli precedentemente depositati.
Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 42426 del 19.11.2021
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