Il Tribunale condannava l’imputato per il reato di cui all’art. 256 del T.U.A., per avere effettuato, all’interno di uno stabilimento industriale della società di cui era amministratore unico, un deposito incontrollato di rifiuti speciali non pericolosi. Avverso la predetta sentenza, si proponeva ricorso per cassazione, nel quale si eccepiva che in capo al ricorrente non poteva essere individuato alcun dovere giuridico alla gestione o allo smaltimento dei rifiuti, dal momento che lo stesso non poteva essere qualificato come “produttore”. Infatti, gran parte dei rifiuti rinvenuti facevano riferimento ad una attività di carotaggio del terreno che l’imputato aveva appaltato ad altra ditta, la quale avrebbe dovuto occuparsi dello smaltimento, nel presupposto che in tali casi la qualità di produttore dei rifiuti va ascritta, in accordo con la natura del contratto di appalto, all’appaltatore.
Il ricorso è dichiarato inammissibile. La Cassazione chiarisce che la regola generale per cui l’appaltatore, assumendo la qualità di produttore di rifiuti, è il soggetto su cui gravano gli obblighi di corretto smaltimento, può essere modificata dall’accordo negoziale tra le parti, come è di fatto avvenuto nel caso di specie, con una apposita deroga consacrata nel “preventivo della società appaltatrice”, rimasto incontrastato, che rimetteva a carico del committente il compito di procedere allo smaltimento dei rifiuti prodotti (Cass. pen., sentenza n. 5520 del 12.02.2020).
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