Il D.L. n. 69/2013, già in vigore da 22 giugno, contiene diverse disposizioni dirette alla semplificazione amministrativa. L’art. 41 racchiude tutte le novità in materia ambientale.

La norma di apre con una nuova riscrittura dell’art. 243 del TUA – Gestione della acque sotterranee emunte – cui segue la precisazione per la quale il D.M. n. 161/2012 sulla gestione delle terre e rocce da scavo si applica“solo alle terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a valutazione d’impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale”.

E per il resto? Ritornerebbe in vigore il vecchio art. 186 del TUA o, piuttosto, la disciplina delle terre e rocce da scavo da piccoli cantiere verrebbe attratta dalla norma generale sui sottoprodotti ex art. 184, co. 1, del TUA?

La soluzione è offerta dalla legge n. 71/2013 (di conversione del D.L. 43/2013), già in vigore, per cui “alla gestione dei materiali da scavo, provenienti dai cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale, continuano ad applicarsi su tutto il territorio nazionale le disposizioni stabilite dall’articolo 186 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” (8-bis).

Quindi in sintesi: alle terre e rocce da scavo provenienti da opere sottoposte a VIA o ad AIA si applica il D.M. n. 161/2012; alle terre e rocce da scavo provenienti da cantieri la cui produzione non superi i seimila metri cubi si applica l’art. 186 del TUA; ed alle terre e rocce prodotte da opere non sottoposte a VIA o ad AIA, né prodotte da cantieri sotto il seimila metri cubi?

Non resterebbe che la norma generale sui sottoprodotti (art. 184-bis TUA) per quest’ultimo caso, ma così – a parte le difficoltà dovute alle diffidenze della giurisprudenza sul concetto di sottoprodotto – la semplificazione sarebbe in realtà una complicazione, visto che la disciplina della terre e rocce da scavo sarebbe suddivisa in tre norme, con buona pace della certezza delle regole.

La domanda a questo punto è la seguente: ma non sarebbe più semplice per tutti adottare quel famoso regolamento ministeriale previsto dall’art. 266, co. 7 del TUA, appositamente per la gestione delle terre e rocce da scavo provenienti dai piccoli cantieri?

La risposa è sì, ma in tal caso la semplificazione burocratica sarebbe stata eccessiva!

Per intanto resta l’art. 185 del TUA – Esclusioni dall’ambito di applicazione – che alla lettera b) e c) ci spiega che il terreno in situ e il suolo non contaminato escavato nel corso di attività di costruzione e ove sia certo il suo riutilizzo ai fini di costruzione e nello stesso sito non costituisce rifiuto. Anche sul punto interviene il recente decreto, modificando l’art. 3 del D.L. n. 2/2012 e chiarendo che i riferimenti al «suolo» “si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo (TUA, n.d.a.), costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito e utilizzati per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri”. Ma attenzione le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell’articolo 9 del decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, “per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee e, ove conformi ai limiti del test di cessione, devono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati”. Senza test di cessione non vale più l’esclusione per le matrici materiali di riporto dalla qualifica di rifiuto e nel caso “non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi al test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovono i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentono di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute”. Decreto Fare – misure di semplificazione amministrativa