Questi studi producono acque reflue provenienti da attività produttive, in quanto reflui prodotti da una attività che effettua servizi terapeutici, e quindi non qualificabili domestici, per cui devono essere muniti dell’apposita autorizzazione. Per determinare le acque che derivano dalle attività produttive occorre procedere a contrario, vale a dire escludere le acque ricollegabili al metabolismo umano e provenienti dalla realtà domestica. Le attività produttive, d’altronde, non necessitano per essere tali di un vero e proprio stabilimento, giacchè il proprio insediamento può essere effettuato anche in un edificio che non abbia complessivamente destinazione industriale. Il che significa che non dalla natura della struttura in cui sono prodotte (insediamento industriale o meno) bensì dalla natura delle acque stesse scaturisce l’applicabilità della tutela penale dall’inquinamento idrico. La Corte osserva, inoltre, che le acque in questione, per l’utilizzazione nelle attività terapeutiche di sostanze estranee alla vita domestica (quali, per esempio, gli anestetici e in generale i farmaci), non potrebbero neppure qualificarsi come dotate di caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche (cfr. D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, comma 7, lett. e) ai fini di una disciplina regionale assimilativa (Cassazione penale, 17 gennaio 2013).
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