Il regolamento per la disciplina dell’albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti, approvato con decreto 28.4.1998 n. 406 del Ministero dell’Ambiente, indica all’art. 10, comma 2, i requisiti per l’iscrizione all’albo, e alla lettera f) esclude coloro che: 1) abbiano riportato condanna passata in giudicato a pena detentiva per reati previsti dalle norme a tutela dell’ambiente; 2) abbiano riportato condanna passata in giudicato alla reclusione per un tempo non inferiore a un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica, ovvero per un delitto in materia tributaria. Peraltro sono fatti “salvi gli effetti della riabilitazione e della sospensione della pena”. La disciplina dell’esclusione dall’albo per ragioni concernenti la moralità personale prevede, dunque, due differenti ipotesi. La prima concerne l’accertamento di reati ambientali concluso da condanna a pena detentiva, la seconda, invece, l’accertamento di delitti in alcuni settori che abbia comportato la condanna alla reclusione non inferiore a un anno. Mentre la logica della prima fattispecie astratta è di immediata evidenza, volendosi escludere dall’attività – anche in funzione preventiva – i soggetti riconosciuti colpevoli di illeciti penali contro l’ambiente, le ragioni a presidio delle ipotesi di condanna di cui al n. 2 non appaiono chiare. Le censure di irragionevolezza rivolte avverso le contestate norme del regolamento ministeriale – art. 10, comma 2, lett. f) n. 2, nonché artt. 17 e 19 laddove dispongono il diniego di iscrizione e la cancellazione dall’albo nazionale gestori ambientali quali attività vincolate conseguenti all’accertamento delle ipotesi preclusive di cui all’art. 10 – sono perciò fondate e determinano l’accoglimento del ricorso, con annullamento del regolamento ministeriale in parte qua. Sentenza Tar Lazio, sentenza del 10 luglio 2013, n. 6857