Le acque di falda emunte da bonifica

Le acque di falda emunte da bonifica: reflui industriali o rifiuti?

La questione riguarda la qualificazione delle acque di falda emunte durante la fase della messa in sicurezza d’emergenza e della bonifica dei siti contaminati: più precisamente, se tali acque possano (o meglio, debbano) essere considerate come rifiuti liquidi.

Non si tratta di una questione di poco conto, perché se qualificate come “rifiuto” dovrà trovare applicazione la normativa dettata per i relativi impianti di smaltimento.

Sul punto era già intervenuta una sentenza del Consiglio di Stato (n. 5256 del 2009) che pareva avere chiarito i dubbi: “il D.Lgs. n.152/2006 ha disposto in modo specifico, nell’art.243, in ordine allo scarico delle acque emunte, nell’ambito delle operazioni di bonifica, chiarendo un principio già insito nel D.Lgs. n.152/1999, ossia che lo scarico delle acque predette dalla falda nell’ambito dei procedimenti di bonifica di un determinato sito, deve attenersi ai limiti di emissione delle acque reflue industriali, qualora sia immesso in acque superficiali, ed inoltre che … occorre fare riferimento – in relazione allo scarico in fognatura delle acque, pur considerata la norma speciale di cui al comma 1 dell’art.243 cit. – nell’ambito della stessa disciplina degli scarichi richiamata, all’art.107, comma 1, D.Lgs. n.152/2006, che rinvia ai valori dell’allegato 5 e relativa tabella”.

In effetti, all’art. 243 del TUA si può leggere che “le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto”.

Da qui, anche alla luce della sentenza citata, si era diffusa l’idea che le acque di falda emunte fossero equiparate tout court, quanto al regime giuridico, alle acque reflue industriali da scaricare in acque superficiali, e come tali, pertanto da autorizzare.

Questo indirizzo interpretativo, tuttavia, non è stato condiviso da una parte della giurisprudenza: “ritiene il Collegio di condividere sul punto l’orientamento in base al quale le acque emunte vengono di regola ricondotte all’interno della categoria dei rifiuti liquidi, non potendosi in linea di principio ritenere che la norma di cui all’art 243 citato consenta una equiparazione tout court tra le acque di falda emunte nell’ambito di interventi di bonifica di siti inquinati e le acque reflue industriali” (cfr. TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 20 marzo 2009, n. 540; TAR Toscana, Sez. II, 6 ottobre 2011, n. 1452 ).

Da questo punto di vista si ha pertanto che l’art. 243 del TUA si limita a consentire la possibilità di autorizzare lo scarico nelle acque di superficie delle acque emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica o messa in sicurezza di un sito, purché siano rispettati gli stessi limiti di emissione delle acque reflue industriali, ma ad una condizione preliminare: occorre accertare se, in relazione alle specificità del caso concreto, per le acque in esame, pur emunte in falda, possa essere esclusa la natura di rifiuto liquido.

Così la presenza di uno iato temporale e materiale tra la fase di emungimento e quella di trattamento, consistente nello stoccaggio delle acque in attesa della destinazione finale, depone per la qualificabilità delle acque in termini di “rifiuto liquido”, laddove la nozione di “scarico” implica la continuità tra la generazione del refluo e l’immissione nel corpo recettore.

Da quanto precede si ha che l’individuazione del regime normativo concretamente applicabile non può non tenere conto della particolare natura dell’oggetto dell’attività posta in essere, per cui in linea di principio le acque emunte vanno trattate come “rifiuti liquidi”; solo nell’ipotesi in cui sia dimostrata la continuità dell’immissione, mediante un sistema stabile di collettamento, dal luogo della produzione fino all’esito finale, passando direttamente dalla falda al corpo recettore senza essere convogliate provvisoriamente in appositi contenitori per essere poi trasportate all’impianto di depurazione, allora potrà trovare applicazione il regime più favorevole di cui all’art. 243 del TUA.

È appena il caso di aggiungere che quest’ultimo indirizzo interpretavo ha ricevuto l’avallo del Consiglio di Stato in una recentissima sentenza (n. 5857 del 2013).

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